Sebbene le linee guida sull’allattamento al seno proibiscano di dare liquidi alternativi al latte per almeno sei mesi, andrebbe comunque insegnato al bambino ad accettarli, in modo da facilitare la reidratazione in caso di necessità.
Premetto che io sono in prima fila nel sostegno dell’allattamento al seno esclusivo anche in qualità di referente per il mio Ospedale presso la Regione Lazio - per la cronaca, con nostra soddisfazione siamo terzi nel Lazio come percentuale di successi dell’allattamento; premetto che sono assolutamente contro l’uso di latti artificiali a meno di casi particolarissimi; premetto che sono il primo ad auspicare che siano le Peer Couselor ad occuparsi di sostenere le donne che devono allattare (ci ho scritto anche un piccolo articolo lodando il lavoro di queste professioniste); premetto che alle IBCLC (a pagamento) o alla Lega del Latte (gratuitamente) dovrebbe essere demandato in modo diffuso il compito di seguire gli allattamenti (ma non tutte le donne possono permettersi di pagare le couselor IBCLC: è un dato di fatto); premetto che nella parte pediatrica dei corsi di preparazione al parto non sono io che parlo di allattamento ma l’ostetrica; premetto che le mamme che seguo come pediatra allattano a lungo e con soddisfazione; premetto che più di una mamma scoraggiata e in procinto di abbandonare l’allattamento al seno è stata da me convinta a continuare per il maggior tempo possibile.
Ciò detto: le linee guida sull’allattamento al seno (indifferenziate rispetto alle esigenze specifiche delle varie Nazioni e, come le montagne, difficili da smuovere) proibiscono di dare cose diverse dal seno, inclusi liquidi alternativi al latte, per almeno sei mesi. Ora: il latte non è un reidratante ma è un alimento (nozione per la quale non occorrono conforti bibliografici di studio specifico dato che si tratta di evidenze di semplice chimica organica: consiglio di andare a ripassare il concetto di osmosi e di osmolarità dei fluidi). Ovvio che contiene acqua ma, per la presenza di Sali e sostanze disciolte, quest’acqua non è disponibile. Oltre tutto quando si innesca il meccanismo della sete è perché l’organismo ha bisogno di solvente (acqua) e non di una soluzione (acqua+sostanze disciolte). Possiamo paragonare il latte ad un brodo: verrebbe mai in mente a qualcuno di bere brodo quando ha sete? Probabilmente si ma a patto che sia molto diluito, cioè con un potere osmolare basso.
L’indicazione (e, si badi: si tratta di una linea guida non di un protocollo - c’è una notevole differenza) è stata data dall’OMS-UNICEF sulla scorta dei rischi dell’idratazione alternativa nei Paesi del III mondo dove fonti di acqua pulita non ci sono e quindi si innescano diarree a volte mortali. Qui da noi questo rischio non c’è. Oltre a ciò la proibizione di ciucci e tettarelle viene fatta anche per evitare un supposto (ma ormai da tempo sfatato: riporto in calce alcune voci bibliografiche a supporto) abbandono precoce del capezzolo e quindi del latte materno.
Andrò per punti (qui c’è il condensato della mia più che trentennale esperienza sull’argomento):
1) Un bambino che sin da piccolissimo non è abituato ad assumere liquidi o altre sostanze diverse dal latte al seno e con mezzi diversi dal capezzolo (biberon, bicchiere, cucchiaino, ecc.) sarà più difficilmente idratabile/curabile in condizioni di emergenza
2) Opporrà resistenza a qualsiasi mezzo di nutrizione in modo più marcato quindi, nel momento in cui dovrà essere svezzato, ci saranno maggiori difficoltà e rifiuti
3) In caso di emergenza (dove ad esempio è necessario sospendere l’alimentazione) sarà complicato se non impossibile fornire reintegri efficienti di acqua e sali….col rischio di finire in ospedale a fare fluidoterapia endovenosa anche per banalità (teniamo presente che anche una semplice febbre che superi i 38,5°C, se perdura oltre le 48 ore determina disidratazione)
4) Tutte le reazioni organiche avvengono in mezzo acquoso quindi se esiste ipoidratazione tutti i processi vitali avvengono con maggiore difficoltà. Teniamo presente che un bambino ha un contenuto d’acqua corporea che è maggiore di circa il 20% rispetto all’adulto e che il suo rene, protettore dell’integrità del sistema idrico/salino (oltre che dell’equilibrio acido/base), è immaturo fino a circa 2 anni (perde liquidi con maggiore facilità e tende a non trattenere i Sali)
5) La perdita di liquidi e Sali, comunissima entro i primi due anni di vita (vomiti e diarree) determina squilibri nel bilancio elettrolitico (si perde Cloro col vomito e Potassio con la diarrea) che portano a torpore, sonnolenza, debolezza: si innesca un circolo vizioso nel quale più inerzia c’è, meno reintegri si hanno, più accentuata diviene l’inerzia medesima, con immaginabili conseguenze.
Potrei portare decine di esempi di problemi segnalatimi da mamme che, seguendo in modo pedissequo le indicazioni OMS-UNICEF, si sono rifiutate di dare liquidi diversi dal latte al seno per poi ritrovarsi alle prese con problemi di divezzo, e/o di alimentazione e/o di reidratazione.
L’ultimo (di numerosi…e che mi ha fatto “traboccare il vaso”) in ordine di arrivo è di stamattina. Lo riporto perché è emblematico.
Madre di bambino di due anni allattato ancora al seno che mi telefona per una diarrea acquosa del figlio iniziata da quattro giorni e preceduta da vomito per un giorno (perdita consensuale di cloro e potassio). Nessuna reidratazione a parte il seno; nessun segno di miglioramento ed anzi aumento del numero di scariche. Stamattina il bambino era sonnolento e poco reattivo e cercava solo la mammella.
In condizioni normali (nel caso specifico: bambino di due anni, svezzato, che accetta di bere) la situazione sarebbe di facile risoluzione: eventuale sospensione del latte (specie il materno che in condizioni di diarrea ha effetto “lassativo”) per un paio di giorni e sua sostituzione con analoghe quantità di soluzioni reidratanti (camomilla, succhi di frutta diluiti, ecc.) il tutto accompagnato da alimentazione solida specifica (carote, patate, banane, riso, pollo, evitamento di latte e derivati). Risposta della mamma a queste indicazioni: “Non vuole nulla da bere, solo acqua semplice e poca (n.b.: in condizioni di diselettrolitemia l’acqua semplice va evitata); prende volentieri il seno quindi lo attacco più spesso; mangia quello che gli pare e poco”. Bambino difficile da trattare in queste condizioni. Conseguenze? Per una banalità come una diarrea comunissima primaverile (in questo periodo non viene segnalato praticamente altro a parte qualche rinite) il bambino ha subìto un ricovero quando sarebbe bastato seguire norme casalinghe, storiche e banali.
Penso con convinzione che il bene del bambino passi attraverso la mente (raziocinio) e non solo per il cuore (Poverino, non vuole…..).
Forse si vede che sono un po’ inquieto e dispiaciuto. Penso di si ma sono giustificato: ho scritto questo piccolo pezzo di sfogo considerando che dopo circa 5 giorni di solo seno e poco altro la diarrea del bambino in questione, protratta, lo ha portato ad una diselettrolitemia pericolosa, evitabile col semplice (ma impossibile per mancata compliance del bambino) reintegro di liquidi e sali per via orale. La mia frustrazione è nel fatto che è occorso un ricovero per risolvere il problema, evitabile nel caso in cui la mamma (o chi per lei) avesse insegnato a suo figlio ad accettare altro oltre al capezzolo.
In merito dunque all’idratazione alternativa al seno: è certo che non sia un obbligo. I liquidi vanno proposti, non imposti. Il latte (insisto) è una emulsione, seppure bifasico nella sua composizione (più o meno concentrato a seconda della fase della poppata): ciò significa semplicemente che non è detto sia sufficiente alla reidratazione in caso di necessità.
Proporre liquidi alternativi non è un valore assoluto ma andrebbe insegnato al bambino ad accettarli. Non si vuole usare il biberon? Ok: lo si faccia col cucchiaino, con un bicchierino. Ma evitare una flebo con un semplice reintegro orale mi sembra vantaggioso.