La Pressione Arteriosa sistemica differisce di poco tra gli atleti allenati a sport di endurance e le persone normali non allenate. I polsi carotidei negli atleti, specie quelli praticanti sport di endurance, sono iperdinamici, fenomeno verosimilmente dovuto alla bradicardia e all’aumentata gittata sistolica. L’impulso ventricolare sinistro è spostato, ingrandito e di tipo iperdinamico. È frequentemente presente un terzo tono (dovuto al riempimento ventricolare rapido protodiastolico); è meno comune un quarto tono (più facilmente udibile con l’aumento del tempo di riempimento diastolico e un torace sottile).
Un soffio sistolico eiettivo sul margine sinistro dello sterno, di intensità 1-2/6, può essere auscultato fin nel 50% degli atleti e spesso diminuisce d’intensità al passaggio dalla posizione supina a quella ortostatica (27).
VALUTAZIONE DEL RITMO CARDIACO DELL’ATLETA
Lo studio dell’elettrocardiogramma dell’atleta ha sempre appassionato i cardiologi fin dalle prime interpretazioni dell’elettrocardiografia.
Molte sono le modificazioni dell’elettrocardiogramma descritte negli atleti e spesso considerate innocente effetto dell’allenamento, tuttavia alcune modificazioni, quali l’aumento marcato di voltaggio delle onde R o S, un sopraslivellamento del tratto ST, l’inversione dell’onda T, la presenza di onde Q profonde, potrebbero suggerire la presenza di una cardiomiopatia ipertrofica o cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro. Al momento attuale il significato clinico di tali alterazioni in atleti peraltro sani, non è ancora ben definito, non è chiaro cioè se tali anomalie ECG siano la prima espressione di una cardiomiopatia che si svelerà in un tempo successivo, oppure siano semplice espressione del rimodellamento morfologico cardiaco indotto dall’allenamento. In realtà solo una piccola percentuale di atleti che mostrano alterazioni marcate dell’ECG presentano, alla verifica ecocardiografica, anomalie, mentre la maggioranza di essi sono risultati “falsi positivi”(7) .
FIG. 6 – Prevalenza di alcune Bradiaritmie nel gruppo di Atleti e nel gruppo di Controllo (sedentari)
Numerosi sono stati gli studi epidemiologici condotti sulla prevalenza delle diverse aritmie cardiache negli sportivi.
Tra le aritmie più frequenti negli atleti rispetto alla popolazione sedentaria si evidenzia: le bradicardie sinusali, i ritardi di conduzione atrioventricolare e le tachiaritmie.
– BRADICARDIA SINUSALE
La bradicardia sinusale è l’espressione peculiare dell’elettrocardiogramma dello sportivo ed è talora caratterizzata da valori a riposo anche inferiori ai 40 bpm.
È più frequente negli atleti praticanti sport di resistenza ad elevato livello agonistico.
FIG. 7 – Bradicardia Sinusale (43 bpm) in atleta
Generalmente la bradicardia sinusale, se non è accompagnata da sintomatologia sincopale e se è normalizzata dall’esercizio fisico, viene inquadrata nel cosiddetto adattamento “ipervagotonico” all’allenamento fisico intenso e, nella maggioranza dei casi, non pone problemi di idoneità allo sport agonistico.
Molti studi hanno documentato che un allenamento intenso e duraturo è in grado di modificare l’equilibrio simpatovagale in senso vagale, inducendo la predominanza della componente parasimpatica. Tale effetto è particolarmente evidente in quelle regioni cardiache che maggiormente risentono della prevalenza del tono vagale, come il nodo del seno ed il nodo atrioventricolare. È probabile che alcune bradicardie molto marcate siano l’espressione anche di una componente genetico – costituzionale e vadano seguite attentamente nel tempo. Le bradicardie estreme dell’atleta devono essere distinte dalle bradicardie espressione di una iniziale disfunzione sinusale, soprattutto in età adulta e avanzata, nella quale l’evenienza di una malattia del nodo del seno è cronologicamente più probabile (28).
Per una diagnosi differenziale tra Bradicardia estrema e iniziale disfunzione sinusale nell’atleta è utile ricordare che nelle bradicardie “fisiologiche” si evidenzia:
– Assenza di pause sinusali maggiori di 3,5 secondi
– Scomparsa della bradicardia durante test da sforzo e dopo disallenamento
– Assenza di sintomi di tipo sincopale.
– RITARDI DELLA CONDUZIONE ATRIOVENTRICOLARE
L’ipervagotonia indotta dall’allenamento può essere considerata il primum movens patogenetico anche per queste forme di bradiaritmia.
FIG. 8 – Blocco Atrio-Ventricolare di 1° grado
Si tratta generalmente di blocchi atrioventricolari di 1° grado o di 2° grado tipo Mobitz 1, con espressione tipicamente notturna e con completa normalizzazione dopo test da sforzo massimale o dopo periodo di disallenamento.
Una particolare attenzione deve essere posta ai casi di blocco atrioventricolare già evidente in giovane età che non si associano ad un intenso condizionamento fisico o ai casi presenti in età adulta, soprattutto se si tratta di blocco atrioventricolare di grado avanzato od associato a blocco di branca (28).
– TACHIARITMIE: ARITMIE SOPRAVENTRICOLARI
La prevalenza dei battiti prematuri sopraventricolari nell’atleta è molto variabile (intorno al 30%) da casistica a casistica e generalmente non assume rilevanza clinica né compromette l’idoneità all’attività sportiva agonistica.
Di interesse maggiore sono le varie forme di tachicardia parossistica, di flutter o di fibrillazione atriale parossistica. Nello sportivo tali tachiaritmie rappresentano un importante problema, in seguito al cardiopalmo che provocano, soprattutto quando tale sintomo accade durante lo sforzo fisico. Per fortuna questi episodi sono molto rari nello sportivo, con una prevalenza del 1%.
Il sintomo del cardiopalmo nell’atleta è sostenuto dalle seguenti aritmie: tachicardia da rientro atrioventricolare (50%); fibrillazione atriale (25%); flutter atriale (13%); tachicardia da rientro atrioventricolare da via anomala occulta e tachicardia atriale (6,2%).
La fibrillazione atriale, anche se rara negli atleti, assume un particolare rilievo epidemiologico nell’atleta sintomatico per cardiopalmo. Essa può essere correlata sia ad un ipertono neuro – adrenergico e, quindi, scatenata dallo sforzo fisico, sia concomitante ad un forte input vagale. Generalmente, la fibrillazione atriale “vagale” è in relazione al grado di allenamento e scompare dopo un congruo periodo di disallenamento. Negli atleti che presentano episodi di fibrillazione atriale deve essere esclusa una cardiopatia, un distiroidismo e la presenza di pre-eccitazione cardiaca (6).
Particolare attenzione deve essere posta alla Sindrome di Wolff-Parkinson-White nell’atleta e al rischio ad essa connesso di poter determinare frequenze ventricolari elevatissime, inefficaci dal punto di vista emodinamico, con conseguente fibrillazione ventricolare e morte improvvisa. Questa eventualità tragica è correlata ad elementi intrinseci al fascio anomalo, alla situazione cardiaca generale e alla potenzialità aritmogena del gesto atletico (6).
– TACHIARITMIE: ARITMIE VENTRICOLARI
Le aritmie ventricolari nell’atleta apparentemente sano rappresentano una delle tematiche più controverse nell’ambito della cardiologia dello sport. Tale problematica può essere riassunta in alcuni punti fondamentali:
– La prevalenza di battiti ectopici ventricolari isolati nello sportivo è molto frequente ed è stimabile tra il 35% e il 50%.
– È spesso difficile identificare un substrato organico come causa dell’aritmia, anche nelle forme più maligne.
– Non esistono ancora studi longitudinali per poter stabilire un follow-up adeguato.
FIG. 9 – Extrasistolia Ventricolare
Sono sempre più frequenti gli studi che documentano la presenza di un substrato organico associato all’aritmia, come minime anomalie a carico dell’infundibolo ventricolare destro, miocarditi in fase di remissione, cardiopatia aritmogena del ventricolo destro ed altre forme minori di cardiopatia. In tal senso lo sforzo fisico è generalmente inquadrabile come fattore scatenante od aggravante l’aritmia.
Sulla base di queste osservazioni è utile proporre un iter valutativo dell’atleta con aritmie ventricolari, articolato nei seguenti punti:
– scrupolosa ricerca di una cardiopatia organica associata all’aritmia
– attento studio aritmologico degli atleti sintomatici per sincope o cardiopalmo
– cautela nell’indicazione e prescrizione di metodiche invasive negli atleti aritmici asintomatici, nei quali manca un vero end-point elettrofisiologico, a causa della difficoltà di attribuire ad una aritmia inducibile, potenzialmente aspecifica, un rischio reale di morte improvvisa
Vale la pena sottolineare che tra le forme più pericolose rientrano proprio quelle aritmie ventricolari che, per assenza di ripercussioni sulla performance, consentono di praticare lo sport ad alto livello, esponendo l’atleta ad un reiterato rischio.
Negli atleti andranno considerate in modo benigno quelle forme “occasionali” di aritmie ventricolari, non ripetibili e non associate allo sforzo fisico.
Una delle forme di più frequente riscontro nell’atleta è l’aritmia ventricolare ad origine dal cono di efflusso della polmonare od infundibolare destra che assume il caratteristico aspetto a “tipo blocco di branca sinistro”. Questa aritmia è spesso cancellata dallo sforzo fisico, è raramente associata ad una cardiopatia ed ha una prognosi benigna (6) .
EVENTI POTENZIALMENTE TEMIBILI NELL’ATLETA
– MORTE IMPROVVISA DA SPORT
Per Morte improvvisa (MI) da esercizio fisico si intende una morte repentina ed inaspettata, non traumatica che si verifica in relazione temporale con l’attività sportiva, in genere entro un’ora dall’inizio dei sintomi.La prevalenza della MI risulta più elevata nei maschi, nei soggetti in età adulta/avanzata e nei pazienti con cardiopatia anche se clinicamente silente. Verosimilmente, la minor prevalenza della MI durante l’esercizio fisico nelle donne rispetto agli uomini trova spiegazione nella scarsa partecipazione delle prime ad attività fisiche ad impegno elevato cardiovascolare e nella minore espressione fenotipica di alcune cardiopatie di origine genetica o aterosclerotica nel sesso femminile.
Anche il tipo di esercizio ha importanza nella prevalenza della MI: nei pazienti con cardiopatia nota l’incidenza di MI risulta più bassa durante l’attività fisica di intensità moderata e controllata. Nonostante l’attività fisica, sia nel giovane che nell’anziano, aumenti le probabilità di MI di origine cardiovascolare rispetto allo stato di riposo, il rischio assoluto di MI indotto dall’esercizio rimane, comunque, basso (in Italia l’incidenza di MI nella popolazione generale giovanile risulta pari a 2.62/100000 nei maschi e pari a 1.07/100000 nelle femmine).
Le patologie, anche silenti, dell’apparato cardiovascolare rappresentano la causa della stragrande maggioranza di MI da esercizio ed incidono in maniera diversa in base all’età dei soggetti, infatti mentre nei giovani al di sotto dei 35 anni prevalgono le cardiopatie congenite o di origine genetica (cardiomiopatia ipertrofica, origine anomala delle arterie coronarie, cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro), nei soggetti in età adulta/avanzata la causa più frequente è rappresentata dall’aterosclerosi coronarica.
La patogenesi della morte improvvisa è legata prevalentemente ad un disturbo del ritmo cardiaco (fibrillazione ventricolare, blocco atrio-ventricolare completo, prolungato arresto sinusale), mentre risultano meno frequenti le cause emodinamiche, quali la rottura di un aneurisma aortico o l’embolia polmonare (29).
– SINDROMI CORONARICHE ACUTE
Una percentuale variabile dal 4% al 18% avviene durante o subito dopo un’attività fisica intensa ed il periodo più a rischio è quello compreso tra la fine dell’esercizio e l’ora immediatamente successiva.
Il rischio di infarto miocardico acuto è sensibilmente minore negli individui che si allenano regolarmente e durante attività fisica bassa o moderata, mentre aumenta nei soggetti già cardiopatici.
Verosimilmente, uno dei meccanismi attraverso cui l’esercizio può favorire il verificarsi di una sindrome coronarica acuta è la rottura di una placca aterosclerotica vulnerabile, in seguito allo stress emodinamico, che innescherebbe fenomeni trombotici e vasospastici (29).
SCREENING CARDIOLOGICO PREVENTIVO
L’esercizio fisico può scatenare eventi acuti cardiovascolari tra i quali i più temibili sono la morte improvvisa e le sindromi coronariche acute. La probabilità che si verifichino eventi cardiovascolari durante esercizio fisico è più elevata nei pazienti affetti da cardiopatia, nei soggetti in età adulta/avanzata, in quelli sedentari e con fattori di rischio cardiovascolare e quando l’attività fisica è praticata ad intensità elevata.
La probabilità, invece, è minore quando l’attività fisica è praticata a bassa intensità e nei soggetti che si allenano regolarmente. Il meccanismo attraverso cui l’attività fisica abituale esercita questo effetto protettivo nei confronti degli eventi acuti cardiovascolari ed in particolare della morte improvvisa, è legato probabilmente ad una maggiore stabilità elettrica del miocardio, con riduzione del rischio di aritmie ventricolari fatali. Allo scopo di ridurre il rischio di eventi cardiaci avversi, quindi, risulta importante eseguire un adeguato screening preventivo ed avviare i soggetti ad un graduale e progressivo condizionamento fisico, soprattutto se hanno cardiopatia nota, età avanzata, o fattori di rischio coronario.
L’ECG, insieme con la storia clinica, rappresenta il primo gradino di ogni indagine non invasiva, allo scopo di identificare malattie cardiache a rischio di instabilità elettrica.
Il “golden standard” nella diagnosi della maggior parte delle malattie strutturali del cuore è l’ecocardiografia, che è un eccellente mezzo di diagnosi non invasiva per lo studio sia della morfologia che della cinetica ventricolare sinistra (30).
Ogni individuo, quindi, che si accinge ad iniziare una attività fisica regolare dovrebbe essere sottoposto, preventivamente, ad una attenta valutazione cardiologia che deve essere ancora più accurata in caso di atleti, visto i grossi carichi di lavoro effettuati.
È pensiero comune che attraverso un adeguato screening preventivo, si possa ridurre la probabilità di eventi cardiovascolari avversi, in modo da godere dei benefici dell’attività fisica senza incorrere nei rischi ad essa associati.
Scopo dello screening preventivo è quello di evidenziare l’esistenza di cardiopatie clinicamente silenti in soggetti apparentemente sani, nonché in caso di cardiopatia clinicamente accertata, stratificare il rischio associato alla pratica dell’attività sportiva ed attivare gli interventi terapeutici necessari (29).
CONCLUSIONI
Il cuore, essendo un muscolo, subisce delle variazioni come risposta funzionale alle sollecitazioni dell’allenamento. Grazie ai meccanismi dell’anabolismo proteico, in seguito ad un allenamento costante si ha una prevalenza dell’anabolismo sul catabolismo, con un conseguente aumento delle strutture fondamentali del cuore, le miofibrille, e quindi, anche condizionato dall’età e dal sesso, l’allenamento induce un ingrandimento delle dimensioni cardiache ed un aumento della massa cardiaca (6).
Negli ultimi anni si è verificato un enorme incremento della popolarità di molti sport. Ne è derivato un aumento del numero di soggetti che giungono all’osservazione del medico presentando gli effetti cardiovascolari dell’allenamento.
La conoscenza delle modificazioni cardiovascolari negli atleti è essenziale per evitare erronee diagnosi di cardiopatia.
Articolo a cura del Dott. Luigi Ferritto (Dipartimento di Medicina Generale, Clinica “Athena” Villa dei Pini – Piedimonte Matese (CE)) e del Dott. Sergio Lupo (Istituto di Medicina e Scienza dello Sport – CONI – Roma).